venerdì 6 gennaio 2012

La principessa Martina





La principessa Martina era un mistero per le altre dame di
corte. Era difficile parlare di lei senza coinvolgere
discorsi elevati, poichè sembrava non ci fosse nulla di
superficiale nella sua vita e allo stesso tempo nulla di
eccentrico.
Partecipava, come ogni principessa, agli eventi mondani
della corte, ma lo faceva in modo del tutto particolare.
I suoi abiti non erano mai appariscenti, tanto che si
sarebbe pensato che, allo stesso modo, non si curasse di
intrattenere rapporti e di divertirsi. Ma non era così.
Ella, anche nelle occasioni mondane, parlava con tutti,
senza fare differenze, e si concedeva facilmente al ballo.
Era gentile con tutti e non pareva notare più di tanto se
il suo interlocutore, o cavaliere, avesse la veste lunga
ed elegante, l'uniforme militare o le maniche rimboccate
e il sudore sulla fronte. Non era come alcuni giovani - o
alcune giovani - che se ne stavano in un angolo, con aria
aristocratica e sapiente, ritenendo quelle feste inutili ed
ipocrite.
La principessa era allo stesso modo a palazzo. Non desiderava
grandi lussi, ordinava che le fosse portato per pranzo solo
quello che poi avrebbe effettivamente mangiato e nutriva
i suoi servi secondo quanto abbisognavano - cioè solitamente
più di lei - ma con cibi semplici e umili, con la proibizione
assoluta di alchol e altri vizi. A palazzo assisteva il suo
fratellino, prossimo erede al trono, nell'educazione e
nello studio. Lo educava al decoro e alla coltivazione della
virtù. Gli insegnò a non essere viziato e a non avere più
del necessario. Allo stesso tempo si prendeva
cura del padre negli acciacchi della sua vecchiaia.


Un giorno, tra il popolo scoppiò una feroce rivolta. Da
tempo vi era la guerra e, per sostenerla, il re aveva
tassato fortemente i contadini e i ceti bassi.
Il re era molto preoccupato e borbottava tra sé e sé,
alla presenza della principessa e della servitù. Ad un
certo punto, alzando la voce, disse: <<E che fare? Devo
tagliare le teste allora? C'è forse altra scelta? Il mio
popolo non concepisce il sacrificio per un bene maggiore
e glielo si deve imporre!>>
Martina ascoltò senza parlare, finchè il re non le si rivolse:
<<Figlia mia, tu che sei tanto buona, vedi forse
un'alternativa?>>.
La principessa allora rispose, con modestia e nobiltà al
contempo: <<Padre, siete voi il re e io solo una donna...>>.
Il re disse, tagliando corto: <<Si, si, ho capito, ma parla.
Se non parlo con te, con chi parlo? I miei funzionari sono
tutti indaffarati ora>>.
<<Mio signore>> rispose Martina, <<il nostro palazzo
trabocca di ricchezze. I nobili e i funzionari hanno
spesso molto più del necessario. Questo include me. Perchè
comandare l'esterno del palazzo, quando le ricchezze sono
tutte dentro? Forse i nobili saranno magnanimi al punto tale
da cedere parte dei loro averi per il bene della nazione,
io credo. Quanto a me, rinuncerò a due dei miei
tre pasti e a molti dei miei troppi vestiti>> concluse
Martina.
Il re rimase per qualche istante a bocca aperta, poi rise.
<<E credi che loro lo faranno? No, no, Martina cara. Loro
non abbandoneranno mai il lusso!>> disse infine, e se
ne andò.
Calò la notte e il sovrano si fece pensoso. "Guardare
all'interno, non all'esterno...
Le ricchezze del palazzo non basterebbero per sostenere
la guerra, tuttavia perché mai i nobili non dovrebbero
fare sacrifici per la nazione?" - questi erano i pensieri
per la mente del re.

Il giorno seguente, il monarca si svegliò, rifiutò la sontuosa colazione
e si diresse, indossando degli abiti appena rispettabili, ad un mercato.
Lì non lo riconobbero e lui si fece coscientemente truffare.

Dopo qualche giorno di un simile comportamento, i funzionari e i
nobili lo presero per pazzo, ma poi capirono tutti.
Prima capirono i più saggi e anche loro abbandonarono il
superfluo, poi la cosa si estese all'intera aristocrazia.
Nel frattempo il popolo aveva riconosciuto il re, nonostante
l'abbigliamento, ed aveva notato il comportamento dell'aristocrazia.
Visto ciò, il popolo ebbe vergogna della propria rivolta e accettò la tassazione.
I nemici del regno videro che esso era prosperoso, che i suoi soldati avevano
scorte enormi di cibo, ma ne mangiavano solo il necessario,
videro che il popolo era compatto e che i nobili erano
virtuosi e amavano la nazione; così, spaventati, si ritirarono.
Lo Stato godette di ricchezza e prosperità; tutte le donne
presero la principessa Martina come esempio, vivendo virtuosamente.

giovedì 5 gennaio 2012

Isa e Tonino






In un piccolo paesino nel sud Italia viveva una povera
famiglia di cinque persone: marito, moglie e tre figli.
Arrivata l'ora di pranzo, tutti si erano riuniti attorno alla
tavola. Il padre, uomo dal fisico eretto e dominante,
seppur indebolito dalla fatica, aveva una barba disordinata
ed era un pescatore, un rigattiere e un calzolaio. Da questi
tre mestieri ricavava una miseria.
<<Oggi ho pescato tre piccoli pesci. Due ne ho dati in cambio
di un pezzo di pane vecchio inumidito>> esordì, con voce profonda.
Sua moglie proseguì: <<Io ho preso l'acqua, come al solito,
e in più ho lavorato a maglia e ho ricavato due lire>>.
<<Io ho avuto un pezzo di pane da Marcello!>> disse contento
Nicola, il figlio più grande, di undici anni.
<<Caro ragazzo quel Marcello>> commentò la madre, ma il padre
alzò un po' la voce dicendo: <<Nicola, ti ho già detto di
non farti donare le cose! Cosa lavoro a fare allora? La gente
non può mangiare e regala a noi! Non hai pensato che quel
pezzo di pane che tu mangi non lo mangerà lui?!>>
Tutti zittirono per un attimo. Qualcuno intanto bussò alla porta.
Isa, la madre dei bambini e moglie di Tonino, andò a vedere e
scorse davanti a sè un pover'uomo ricoperto di cenci
che supplicava di avere qualcosa da mangiare. Lo fece
entrare.
Tonino prese Isa da parte, facendole notare che il cibo
era a malapena sufficiente per loro cinque. Lei disse che
allora avrebbe rinunciato al suo pasto.
Tonino se ne andò borbottando nell'altra stanza e servì all'ospite il pesce
e un pezzo di pane e divise il resto tra moglie e figli.
Nel frattempo Nicola,  ricordandosi del rimprovero di suo
padre, offrì al pover'uomo il pane che gli
aveva dato Marcello,

Il vecchio mendicante aveva le lacrime agli occhi
e disse: <<Il padrone di casa ha rinunciato alla sua parte
di cibo per dare da mangiare a me la pietanza migliore. E
persino suo figlio piccolo lo ha fatto! Parlerò bene di voi
a tutta la città!>>

E fece davvero così.
Di fatto, molta più gente bussò da allora alla porta di Tonino.
Certo, molti per mendicare, ma tanti altri per comprare
da Tonino il calzolaio e da Isa la sarta.

lunedì 2 gennaio 2012

Il Re




Quello che un tempo era un regno prosperoso e florido,
ricco e virtuoso, pieno di benessere e felicità, si ritrovò,
infine, a marcire e decomporsi.
Dopo una carestia, dopo dei subbugli tra il popolo, dopo la
malattia del Re e i disordini nella corte, la moralità della
gente decadde pericolosamente, e essa iniziò a perdere ogni
senso del decoro e a non credere più nemmeno nel Cielo.
Circolò persino, tra il popolo, il "marchio dell'immorale":
un giuramento talvolta suggellato da un marchio sull'avanbraccio
che raffigurava un drago rosso e che mostrava l'estrema
ribellione della gente verso la virtù e la coscienza.
Quando il Re si riebbe, notò tutto questo e ne fu, nella
sua debolezza, contaminato.
Con l'intenzione di ritrovare in sé stesso
ciò che il suo popolo aveva perso, lasciò il comando al suo
consigliere, si spogliò dei suoi abiti regali e, con vesti
comuni, si incamminò per un lungo viaggio.

Durante il suo viaggio, egli si addormentò in un luogo desolato
e fece un sogno. Un Essere Divino gli rivelò che tutti,
nel suo regno, sarebbero stati banditi dal Cielo, se non
avessero annullato il giuramento dell'immorale.

Da quel giorno il re vagò per i villaggi parlando alla gente
del suo sogno, ma nessuno gli diede retta. Un giorno, un
vecchio ubriaco rubò un pezzo di pollo da una locanda.
Il locandiere lo inseguì brandendo un lungo coltello e
urlandogli contro. Lo raggiunse e quasi lo accoltellò, quando
il re, nelle vesti di un comune pover'uomo, lo trattenne.
<<Pagherò io per lui!>> disse il re, ma il locandiere replicò
dicendo che non solo il denaro andava ripagato, ma che voleva
tagliare per lo meno un dito al delinquente. Il re, allora,
disse che avrebbe pagato anche per quello. Il locandiere,
senza pensarci due volte, gli tagliò un dito. Il re provò
grande dolore, e cercò di non risentirsene. Dopotutto, pensò,
il suo dito era sporco, doveva pur liberarsene prima o poi.
Il ladro intanto farfugliò qualcosa e se ne andò.

Fece così in molte altre occasioni, rimediandone qualche botta,
qualche dente perso e perdite economiche, ma soprattutto
conflitti con le persone. Piano piano qualcuno, colpito dai
suoi comportamenti, annullò il suo folle giuramento.

Un giorno, mentre il re, sempre in vesti umili, stava
spiegando i fatti a delle persone, convincendole a rinunciare
al loro perverso giuramento e a ricercare la virtù in loro
stesse, all'improvviso un uomo imbracciò il fucile, lo puntò
verso il re ed iniziò ad urlare con odio.
Dapprima il re provò una fitta di paura al cuore, ma poi
cercò di ricomporsi e, con gentilezza, chiese all'uomo quale
fosse il problema. Lui continuò ad urlare frasi piene di odio.
Cercando di rimanere calmo e gentile, il re gli spiegò i fatti.
L'uomo era colpito dall'altruismo della persona che aveva davanti,
ma era tuttavia combattuto ed una follia omicida si agitava in
lui. Il risultato fu che, agitandosi in modo strano, sparò e colpì
in pieno il re. Voci di stupore e spavento si levarono in
tutta la locanda, e cadde il silenzio per pochi secondi.

Il re, tuttavia, si rialzò e disse che andava tutto bene.
Aveva un buco vicino alla spalla.
Visto ciò, l'uomo con il fucile scoppiò a piangere sollevato,
infranse il suo giuramento, abbandonò il fucile e se ne tornò
con volto luminoso a casa.

Tempo dopo, mentre più persone avevano
rinunciato al giuramento e in generale il clima era migliorato,
pur non mancando gli atti di estrema violenza di chi proprio
non voleva essere salvato, il giudizio divino arrivò.
Le illusioni vennero in un attimo spazzate via, e il Re
ricomparve, nei suoi abiti luminosi e scintillanti d'oro.
Tutti scoppiarono in lacrime e riconobbero il loro sovrano.
Anche lui riconobbe finalmente sé stesso e si ricordò di ciò
che era un tempo.