lunedì 3 ottobre 2011

Su scienza e religione



Venne la notte, e un cattolico si addormentò recitando
le sue preghiere. Gli apparvero in sogno due uomini,
vestiti come gli antichi greci, con una specie di mantello
bianco che lasciava scoperta la spalla destra.
Uno dei due aveva proprio l'aspetto tipico di un greco,
almeno quello dei greci che aveva visto nei film.
L'altro, portava invece un paio di occhiali e aveva tutto
sommato l'aspetto di una persona moderna, per quanto i suoi
vestiti fossero diversi. Sedeva, quest'ultimo, a gambe
incrociate, mentre l'altro, più basso, era in piedi.
<<Che modo strano di vestirvi avete>>, disse il cattolico
in giacca e cravatta. Il greco autentico lo guardò per un attimo stranito, mentre
l'altro rise.
<<Questo è l'abito dei nostri dei!>> rispose il greco in piedi
alzando solennemente la mano destra al cielo.
<<Sei tu quindi un greco antico?>> chiese il cattolico.
<<Antico? In verità sono ancora piuttosto giovine>>.
L'altro, seduto, continuava a ridacchiare.
Il cattolico iniziava a trovare il tutto un po' strano;
chiese dunque: <<Sono forse i tuoi dei, Zeus, Atena, Apollo
e Dioniso?"
<<Si, lo sono>> rispose.
Il cattolico, appartenente al ventunesimo secolo, iniziò a
prenderci gusto e disse:
<<Lo sai da dove si originano i fulmini? Sono generati
da una differenza di potenziale elettrico tra due nubi o
tra le nubi e la terra>>
Il greco seduto sembrava divertirsi anch'egli, ma quello
in piedi rise forte e poi guardando quello seduto disse:
<<Oh pare che ultimamente ne vengano molti dalle tue parti!>>
Lui sorrise, e non disse niente, ma guardò fisso il cattolico.
A quel punto il greco in piedi si rivolse al cattolico e disse:
<<Dunque tu credi in un mondo del tutto
automatico e meccanico>>
<<Si, io lo credo. Ad eccezione del libero arbitrio
concessoci da Dio>>
<<Quindi tutto è automatico tranne l'uomo, è corretto?>>
<<Tranne l'uomo, Dio e le creature viventi>>
Il greco seduto rise di gusto, l'altro si trattenne e quasi
si intristì.
<<Tranne le creature viventi..e cos'è dunque che non vive?>>
<<I sassi, le nuvole, le automobili non vivono>>
I greci si guardarono e quello seduto spiegò <<sono una specie
di carri...>>
<<Va bene, va bene>>, tagliò corto ma con gentilezza il
greco in piedi.
<<Dunque ricapitoliamo. Tutto ciò che vive è libero, il
resto è automatico. Sassi e nuvole non sono vivi. In definitiva,
cosa distingue ciò che è vivo da ciò che non è vivo?>>
Il cattolico iniziò a provare sforzo nel ragionamento.
<<Ciò che è vivo nasce, cresce, si riproduce e muore>>
<<Il mulo, allora è morto, poichè non si riproduce>>
disse ridacchiando l'uomo seduto.
Il greco in piedi non sembrò capire del tutto, ma continuò:
<<A quanto ne so, tu non sei in verità un uomo di scienza
bensì un mistico giacchè nel vostro mondo le due cose
sono ben separate. Dunque dicci piuttosto - visto che
ragionevolmente non saprai difendere al meglio le opinioni
della tua scienza, ma saprai senza ombra di dubbio spiegarci
la Scienza dei tuoi Dei - che cosa non è vivo?>>
Il cattolico non seppe al momento rispondere e l'altro greco
disse:
<<Come sai bene, loro scindono la filosofia dalle questioni
divine, dunque non sanno poi conciliarle, perchè entrambe
crescono senza la loro base, e, nel punto più alto, crollano.>>
Quindi il greco in piedi disse, con un atteggiamento
quasi compassionevole: <<In verità quasi tutto nel mondo
è vivo, e anche fuori da questo mondo, c'è invero parecchia
vita. Tu parli di un grande meccanismo, ma chi mette in moto
questo grande meccanismo? Chi sorveglia a che tutto sia
in ordine?>>
<<Dio e i suoi angeli lo fanno, non i vostri dei>> rispose.
<<E chi dice che i vostri Angeli non siano i nostri Dei
e che il vostro Dio non sia il nostro Dio?>>, e riprese:
<<La gente Celtica, ad esempio ha i loro propri Dei, che
sembrano occuparsi del loro popolo esattamente come i nostri
e i tuoi>>.

Dopo una pausa, il cattolico rispose <<Hai ragione, uomo greco.
Mi hai fatto riflettere, te ne ringrazio. Il nostro grande
Dio si è fatto conoscere a tutti i popoli del mondo
sotto nomi diversi, e tutti lodano la grandezza Sua e dei
suoi Angeli>>
I greci si guardarono, e poi quello seduto rispose:
<<In realtà noi riteniamo che esistano comunque vari grandi
Dei che hanno creato le varie stirpi degli uomini sulla
Terra..>>
Ma il cattolico era troppo entusiasmato per ascoltare
ancora e si risvegliò. Dopotutto pensò che era già
molto che avesse imparato qualcosa da dei primitivi.
Al suo risveglio, egli era molto felice.

Il cuore del guerriero






Era appena arrivata l'alba e già da due ore Chen Tse proseguiva
i suoi allenamenti. Ora sferzava con la sua spada,
sia gentile che forte, l'aria attorno a lui.
C'era indubbiamente maestria nei suoi movimenti,
ma Quan Chi, il suo maestro, lo osservava, seduto a 50 passi
da lui, un po' preoccupato.
Il sole avanzò ancora un po' e Chen Tse ripose con vigore
e velocità la sua spada nel fodero. Il suo respiro era
lievemente affannato, la sua fronte sudata, i suoi capelli,
legati, erano accarezzati dal vento.
Il suo maestro ancora taceva. Chen Tse camminò verso di lui,
e, arrivato a 4 passi di distanza, si fermò sul posto a
talloni uniti, e con serietà e riverenza congiunse il pugno
sinistro al palmo destro e salutò il maestro, con tono
profondo e un po' stanco, ma con grande rispetto.
<<Dà Jiā Hao>>, disse così, e poi continuò a camminare.
Mangiò con calma, pensieroso, e meditò fino a che fu quasi
mezzogiorno. Il maestro rimase seduto esattamente lì dov'era.
Fu allora che Sun Tian e il suo maestro arrivarono.
Erano molto simili, vestiti con lo stesso abito azzurrino
lungo e dalle lunghe maniche, diviso in strisce di tessuto
svolazzanti al vento, con una cintura piccola e scura che
le reggeva, poco sotto il dantian. Entrambi avevano una
barba lunga quanto una mano che scendeva appuntita dal
mento. Il maestro era però considerevolmente più alto, e
aveva un'aria davvero maestosa.
Quan Chi si alzò dolcemente, sciogliendo il loto,
e raggiunse l'altro maestro, il grande Qing Tse Dong.
Entrambi congiunsero le mani in posizione Heshi,
e si scambiarono qualche breve parola.
Intanto Chen Tse e Sun Tian si guardavano seriosi.
Il combattimento sarebbe cominciato a breve.

Dopo qualche istante di silenzio, venne quindi suonato un piccolo gong.
I due si salutarono con rispetto e si misero in posizione.

Dopo pochi istanti, Sun Tian scattò verso il suo avversario;
sembrava dimostrare una notevole velocità nei
movimenti. Il vestito che indossava accentuava la sua
eleganza, con le strisce di tessuto che si alzavano e
abbassavano mentre colpiva o si difendeva o fermava.
Chen Tse era molto energico, invece, ma poco fluido.
Inoltre colpiva con vigorosità, ma con scarsa concentrazione
e precisione.
Fu per questo, quindi, che con una serie di colpi rapidi e successivi,
Sun Tian infine vinse l'incontro.


Al termine del combattimento, i due discepoli e i due maestri, dunque,
si salutarono come era di consuetudine a quei tempi, e i vincitori
se ne andarono.


Chen Tse era arrabbiato. <<Non è possible! Io non posso
perdere> ,diceva: <<Mi alleno tutto il giorno!>>
Il maestro taceva.
<<Non ho combattuto al meglio di me! Io sono molto più
abile di lui!>>
Il maestro continuava a tacere.
<<Maestro! Cosa devo fare per vincere?>>
Il maestro rispose: <<Devi veramente allenare te stesso>>.

Allora Chen Tse si allenò per 4 giorni di fila, dormendo
in totale solo 4 ore e facendo brevi pause per mangiare e
bere; alla fine, stremato, cadde a terra e si addormentò.
Al risveglio, dieci ore dopo, trovò il suo maestro che
gli offriva una bevanda fumante, e anche egli quindi
ne bevve. Chen Tse finì di bere e poi disse:
<<Che vergogna! Non
sono nemmeno capace di governare me stesso! Mi sono
addormentato come un bambinello!>>
Il maestro sorseggiò ancora un po' la sua bevanda e rispose:
<<In realtà, il sonno sai controllarlo piuttosto bene,
discepolo>>, e riprese <<C'è altro però che non sai
ancora affatto controllare>>.
Chen Tse se ne sorprese, e mentre stava per chiedere cosa
fosse, questa cosa che non sapeva controllare, il maestro
si alzò con la bevanda calda ancora fra le mani e,
mentre si girava per andarsene, gliela versò di
scatto addosso; poi si incamminò.
Il calore della bevanda gli fece improvvisamente molto
male e la rabbia crebbe in lui; per un attimo volle
maledire il maestro, ma si trattenne per rispetto.
Dopo poco riprese il controllo e rimase lì a riflettere.
Capì che era la rabbia, ciò di cui il maestro parlava.
Era riuscito a trattenerla solo per rispetto del maestro.
Capì che in realtà questa era collegata all'orgoglio, che
era anche il motivo per cui non accettava le sconfitte.

Tuttavia, quando arrivò l'avversario successivo, perse ancora.
Cercò di essere rispettoso, e di trattenere la sua rabbia.
Essa però lo rodeva da dentro. Non disse nulla, per non
mostrare al maestro di essere arrabbiato.
Dopo varie ore di silenzio e dialogo mentale egli si decise e chiese:
<<Maestro. Perchè perdo?>>
e il maestro rispose:
<<Devi allenare veramente te stesso>>
Chen Tse scattò in piedi e disse alzando la voce:
<<Ma l'ho fatto!>>
Poi si ricompose e aggiunse, <<L'ho fatto, onorevole maestro>>
Il maestro disse <<Io ho visto le tue quattro membra
allenarsi, ma non ho visto Chen Tse che si allenava>>
Chen Tse all'improvviso capì.
<<Maestro, con il tuo permesso, voglio andare in giro per
il mondo senza nulla con me. Guadagnerò il cibo con umili
lavori, e non terrò per me un soldo. Non combatterò
se non per difendere i deboli e mi inchinerò di fronte
al più umile degli uomini, fino a che il mio cuore non
sarà ripulito dall'orgoglio>>
Quan Chi allora rimase in silenzio fissando un punto
per qualche attimo, poi sorrise lievemente e disse:
<<Hai il mio permesso>>.

Chen Tse allora se ne andò e fece come aveva detto.
All'inizio fu difficile, ma continuando a provarci divenne
più facile.
Quando sentì di aver sconfitto il suo orgoglio,
dopo anni di viaggi e vagabondaggi,
tornò dal suo maestro e vinse allora diciotto incontri, perdendone
solo due.
Si congratulò sempre con gli avversari, e non
dette troppa importanza alle sconfitte. Le utilizzò, anzi,
per trovare le sue debolezze e risolverle.

Infine si ritrovò ancora a sfidare Sun Tian.
Quando lo vide, Sun Tian sembrava diventato ancora più abile; il suo sguardo era
imponente, a dir poco, temprato da chissà quanti incontri.
Chen Tse sorrideva lievemente, il suo corpo era rilassato, i suoi
occhi fissi, sia dolci che seri.
Il maestro Quan Chi allora suonò il piccolo gong, e dopo il saluto
rispettoso, fra i due cominciò il combattimento.

Chen Tse schivava i colpi con incredibile leggerezza e colpiva spesso, mentre
Sun Tian, per quanto forte e veloce, non riusciva a tenergli testa e
sempre più perdeva la sua concentrazione: essa lasciava posto alla rabbia.
Fu in questo modo che questa volta Chen Tse sconfisse l'impavido Sun Tian.

Dopo l'incontro, il vincitore si complimentò con il suo avversario.
<<E' stato un onore combattere con te. La tua velocità nei movimenti è
strabiliante, Sun Tian>> disse Chen Tse con rispetto.
Sun Tian si limitò a dire, con un tono strano <<E' stato un onore>>.
In realtà Sun Tian era turbato dalla sconfitta e fu per questo
che non rispose con lo stesso rispetto. Era sicuro che avrebbe vinto
anche questa volta.
Allora il suo maestro si congratulò con Quan Chi dicendo: <<Il tuo allievo ha notevoli
capacità!>>, poi si rivolse al suo discepolo, Sun Tian, e disse:
<<Andiamo, Sun Tian. Voglio offrirti una bevanda calda>>.

Chen Tse e Quan Chi allora si guardarono e a stento trattennero le risa.

Poco doco, il maestro Quan Chi disse a Chen Tse:
<<Chen Tse, io non ho più nulla da insegnarti.
Se hai ancora qualcosa da sbrigare qui fallo, altrimenti fai
i tuoi bagagli e parti>>.
Chen Tse allora partì e non lo si vide più. Si dice che anche lui
divenne un grande maestro: insegnò ai suoi discepoli
come allenare veramente sè stessi.